martedì 6 dicembre 2011

I dolori del giovane Raheem

Tre stagioni alla guida di un team sono un periodo ragionevole per giudicare il lavoro di un allenatore nel duro mondo dell’NFL? O quantomeno, per capire se – al di la del numero di vittorie e sconfitte – esistono margini di miglioramento del lavoro svolto in questo arco di tempo?

Beh, io direi proprio di sì. Ed il giudizio su Raheem Morris ed il suo coaching staff - in particolare sull'OC Greg Olson - non può che essere pesantemente negativo, e senza più appello.

Era il Gennaio 2009 quando i Glazer, come sempre molto attenti al portafoglio, decisero di promuovere da allenatore dei defensive backs ad Head Coach l’allora 32enne Raheem Morris, licenziando il vecchio drago un po’ imbolsito Jon Gruden.

Il giovane rampante Morris aveva molti argomenti che i Glazer ritennero interessanti al punto da affidargli le redini della squadra: costava poco, era sufficientemente ambizioso quanto incosciente da accettare un impegno così gravoso come quello di HC di un team NFL senza avere nessuna esperienza significativa di head coaching alle spalle, aveva un ottimo rapporto con molti dei giocatori di cui era quasi coetaneo, ed era ritenuto l’uomo adatto su cui puntare per la ricostruzione dei Bucs, e per riaprire un nuovo ciclo dopo gli anni, sostanzialmente mediocri, post Super Bowl. 

Sono state giocate quasi 45 partite, da quando Morris è diventato HC (ma anche Defensive Coordinator, dopo il licenziamento di Jim Bates nel corso del 2009) e adesso, giunti alla fine della terza stagione, ci ritroviamo esattamente allo stesso identico punto di partenza: sia dal punto di vista della qualità del gioco, che del rendimento dei singoli e dei vari reparti, per non parlare dei risultati. Le recenti umilianti batoste casalinghe vs Houston e Carolina, per dire, hanno ricalcato fedelmente quella contro i NY Giants datata settembre 2009. Stesso copione, stesso film...

E dire che questo 2011 doveva essere l’anno della verità, dopo il brutto 2009 (3-13) e l'incoraggiante 2010 (10-6). Ebbene, i risultati ed il rendimento della squadra sono sotto gli occhi di tutti. Dopo un inizio positivo dal punto di vista dei risultati (3-1 dopo le prime 4 partite) anche se non del gioco, i Bucs sono arrivati al match di Wembley con un record vincente (4-2) e vittorie importanti ottenute contro le forti rivali di division Atlanta e New Orleans. E invece, proprio a Londra è arrivata la prima sconfitta di una striscia rivelatasi poi lunghissima, tuttora aperta e giunta ormai a quota 6.

A Wembley si gioca male e si perde, ma i Bucs hanno comunque a disposizione il drive per la vittoria, sprecato malamente da Freeman. Da lì in poi, non solo sono arrivate altre sconfitte ma la squadra ha iniziato un processo di ”liquefazione” tale che le partite ormai durano sempre meno, spesso è sufficiente un solo quarto di gioco agli avversari per schiantare Tampa Bay, e proprio al RJS arrivano due sconfitte umilianti vs Houston e Carolina, in cui i Bucs assistono inerti ed inermi, senza mai mostrare il minimo segno di reazione, alla schiacciante dimostrazione di forza degli avversari.

La squadra non risponde in nessun modo agli stimoli di Morris, che nel “throwback game” vs Carolina indossa anche i panni del sergente di ferro “auto espellendo” Brian Price, reo di avere commesso una inutile penalità… ma ormai è troppo tardi. Oltre al fatto che Morris non è minimamente credibile quando decide di indossare i panni del “cattivo”….

I Bucs sono allo sbando, e ancor di più lo è il reparto sotto il diretto controllo di Morris, ossia la difesa: reparto che concede di tutto, incapace di difendere tanto sulle corse quanto sui passaggi, e contro cui diventa – per gli avversari – un piacere giocarci contro. E soprattutto, l'impressione è che Morris e i suoi collaboratori non riescano non solo ad elevare minimamente il rendimento del discreto materiale umano a disposizione ma nemmeno a trasmettere grinta e rabbia, quanto solamente nervosismo e tensione: tutte cose utili a far diventare i Bucs una delle squadre più fallose e penalizzate dell'intera NFL...

Credo che l’era Morris si stia chiudendo nel modo peggiore e decisamente in anticipo rispetto agli auspici della Proprietà, che sperava di avere trovato in Morris il nuovo Tony Dungy, in grado di riaprire un ciclo vincente e risvegliare i sopiti entusiasmi. Purtroppo è andata male, e la scommessa molto azzardata dei Glazer di affidare la squadra a un giovane rampante e senza curriculum si avvia al termine nel peggiore dei modi….

Niente di personale contro Morris, a me fa quasi tenerezza vederlo lì sulla sideline, sguardo vitreo e braccia conserte, senza la minima idea di cosa fare per raddrizzare una baracca che sta crollandogli addosso, sembra quasi che un fumetto gli esca dalla testa con scritto “E adesso che faccio? Ma chi me lo ha fatto fare…”. 

Però ormai è davvero indifendibile, nemmeno nei famigerati anni ’80 i Bucs - pur perdendo spesso e volentieri - giocavano così male come la squadra attuale, e non vedo proprio come i Glazer potrebbero decidere di confermare Morris, magari insieme all’OC Olson, anche per l’anno prossimo anche perché (e non è un dettaglio, se vogliamo che la franchigia rimanga in Florida) è ora di fare qualcosa di concreto per tornare a riempire lo stadio, ormai sempre più vuoto: immagino che fila ai botteghini per rinnovare l'abbonamento o per comprare i biglietti, se i Glazer riproponessero nuovamente lo stesso coaching staff dopo tutti i disastri combinati da Raheem & co.!

Buona fortuna, Raheem, ci hai provato ma è andata male…

Game Over.

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